Questa ricerca, ruotando sul cardine del principio costituzionale per il quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, muove lo sguardo sugli effetti generati nei carceri italiani dalla crescente presenza di detenuti stranieri, appartenenti a culture diverse, spesso in condizione d'indigenza, che affollano prevalentemente le sedi del centro-nord. Il fenomeno relativamente recente del multiculturalismo negli Istituti, ha messo a nudo le contraddizioni e le arretratezze del sistema penitenziario: normative superate dalle urgenze sociali dettate dall'attualità, strutture logistiche insufficienti e spesso obsolescenti, operatori professionali carenti nel numero ed impreparati a predisporre quel piano di comunicazione transculturale necessario all'assolvimento del proprio compito. Ne consegue il ritirarsi di vasti strati di popolazione straniera reclusa nei reparti detentivi in "isole etniche e linguistiche" nelle quali vige una sub-cultura alternativa, a volte antagonista rispetto alle regole istituzionali.
Nel penitenziario, sotto la sterile antinomia che oppone all'impersonalità dei codici e dei regolamenti normativi l'approccio individualizzato del trattamento pedagogico, confluiscono negli ultimi anni in maniera indifferenziata residui indesiderabili di umanità; sono spesso espressioni di marginalità, tossicodipendenti, oppure stranieri senza altra colpa se non quella di calpestare il territorio italiano, precipitati tutti nella zona d'ombra di una esecuzione penale resa sempre più estesa da un orientamento legislativo votato univocamente alla rincorsa del consenso popolare. Per ovvia reciprocità, qualsiasi riforma del sistema penitenziario non può prescindere da progetto politico più generale, capace di immaginare, per il complesso organismo della società multiculturale, nuovi modelli di convivenza civile.
2011